Dietro lo schermo: rischi e possibilità del digitale in mano ai più piccoli

Questa sera io ed Anna Gatti, pedagogista di Percorsi Formativi 0-6, abbiamo parlato di come evitare gli errori educativi più comuni quando i più piccoli scoprono tablet e smartphone. In particolare io ho spiegato al pubblico da dove provengono i fiumi di video auto-generati da avidi produttori, dei contenuti pericolosi che possono celare, concludendo con qualche breve cenno alle conseguenze su sicurezza e privacy personale.

Per trattarsi di una serata con poche pretese, sono rimasto piacevolmente sorpreso nel trovare una sala piena e attenta, mentre parlavo di un argomento che mi sta molto a cuore. Mi sono state chieste più volte le slide che abbiamo usato durante la presentazione: preferisco condividere link e riferimenti bibliografici (che trovate in calce), perché le slide mute lasciano molto spazio all’interpretazione.

Per chi non avesse avuto occasione di partecipare alla serata del 17 maggio, il 25 Ottobre a replicheremo a Milano ( info e registrazione). Magari mi ricorderò di video-registrare la presentazione.

Di cosa abbiamo parlato?

E di cosa parleremo in autunno? Di smartphone e tablet. Questi concentrati di tecnologia sono oggetti del desiderio, in particolare per i più piccoli. Secondo il pensiero di Jacques Lacan “il desiderio […] è sempre desiderio dell’altro”. E il primo “altro” per i nostri figli siamo chiaramente noi genitori: vogliono essere (come) noi. Sin dalla nascita, i nostri figli e nipoti ci vedono con un telefono tra le mani: per lavorare, comunicare, o anche solo per rilassarci e divertirci. “Perché mamma, papà, zia, etc., maneggiano sempre questo dispositivo? Deve essere estremamente importante! Lo voglio!” Essi non possono ancora comprendere le nostre necessità professionali da un lato e il diletto personale, dall’altro.

Come succede alla maggior parte dei genitori—io e mia moglie in primis—arriva il giorno in cui i nostri figli scoprono le magie dello schermo: colori, forme, suoni, che possono toccare, modificare. Sempre senza capirne i motivi, da quel giorno ne hanno scoperto il piacere, il godimento che si prova nello stare a guardare questi piccoli schermi. Da quel momento cellulare e tablet sono esclusivamente una fonte inesauribile di intrattenimento, quasi ipnotico. Un’anestesia immediata e duratura, in grado di far passare tutto in secondo piano: energia, istinto, stanchezza, desideri, bisogno di giocare.

Il risultato?

Se l’accesso a questi strumenti è totalmente fuori controllo, questo “succhiotto” ipermoderno crea dipendenza. Una dipendenza che non è diversa dalla dipendenza da sostanze: a tutti gli effetti, il piacere e l’effetto ricompensa ( “tho, sei stato bravo quindi puoi guardarti un video”) che si prova nel “guardare il tablet” stimola il nostro cervello a produrre dopamina, come spiega la Prof.ssa Daniela Lucangeli, del Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e dei processi di socializzazione dell’ Università degli Studi di Padova.

Senza entrare nel merito: più si è piccoli e più rapidamente si sviluppa dipendenza da dopamina. È per questo che se a un bambino o una bambina in questa fascia di età viene “tolto il tablet”, le reazioni possono essere anche molto forti.

Perché siamo arrivati a questo punto?

Lungi da me il voler essere l’anti-tecnologico di turno, anche perché non lo sono e non potrei farlo: mi occupo di informatica da quando ho ricordi, ho avuto il mio primo computer a 5 anni se non prima e passo forse 12 ore al giorno usando ben più di uno schermo alla volta. La tecnologia che abbiamo oggi a disposizione offre opportunità fino a pochi anni fa inimmaginabili: stare in contatto “in tempo reale” con chiunque, archiviare fotografie, video, catalogare, pagare, votare, …vivere! È innegabile che tutto questo sia parte del nostro mondo, e che la distinzione tra “fisico” e “digitale” sia sempre meno definita. Noi però sappiamo che c’è questa differenza. I nostri figli lo stanno imparando. Un videogioco non è realtà, ma ha impatto sulla realtà nel momento in cui si decide di volerlo imitare facendo una rapina, picchiando i coetanei, costringendoli al suicidio o chissà cos’altro. Un video pubblicato su YouTube da un programma “che genera profitto”…non è realtà, ma il fatto di guardarlo per ore, cliccarci sopra, etc., convertono il loro tempo la loro “attenzione” in denaro. I nostri figli guardano video e qualcuno dall’altra parte del filo si arricchisce.

Perché è rischioso?

Oltre a quanto già detto sopra, YouTube è una giungla. Non tutto è adatto agli occhi di un pubblico 0-6 anni. Durante la conferenza ho fatto l’esempio di come si può trovare video autentici di un cartone animato, ma anche versioni modificate dello stesso cartone animato, che d’un tratto diventa estremamente violento: urla, armi, sangue. Ho visto facce inorridite dagli esempi che ho mostrato.

A lungo termine l’effetto che si rischia di ottenere è un aumento del “fattore fiducia” nei confronti del mezzo: “ho visto su YouTube che…”, “come no? L’ho visto su Facebook!” Lo facciamo ogni tanto anche noi, figuriamoci i nostri figli! Se la nostra generazione—che non è nata con queste tecnologie—è già abbastanza vulnerabile alle sue insidie (fake news in primis), cosa immaginiamo per i nostri figli? Dopo un’infanzia “immersa” nella tecnologia, nel digitale, … saranno in grado di distinguere un video autentico da uno modificato? Che opinione si formeranno dopo aver ascoltato il video di un politico che spiega i prossimi passi della sua propaganda? Sapranno scegliere consapevolmente senza farsi influenzare artificialmente?

Cosa fare?

A parte i consigli scontati su cui preferisco non esprimermi, molti genitori mi hanno chiesto se ci sono alternative a YouTube. Io di solito rispondo che l’alternativa a YouTube è “qualsiasi cosa, purché sia selezionata e non a libero accesso”. Se lasciamo libero accesso a YouTube4Kids ai nostri figli, non risolviamo niente. Sono comunque “suoni e immagini in movimento”, come le chiamo io.

Tolte di mezzo sporcizia e violenza in cui si può incappare su YouTube, il punto fondamentale è il libero accesso. Tra 0 e 6 anni non si ha consapevolezza di “quando smettere”. Detto questo, non sono nella posizione di dare consigli pratici, se non quello di far “prendere le distanze” (letteralmente! Meglio la TV del tablet!) e limitarne il tempo.

Riferimenti